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FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > La commedia del potere di Claude Chabrol   
Autore La commedia del potere di Claude Chabrol
AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 08-10-2006 17:05  
Manifestai, proprio su queste pagine, nel recensire La damigella d'onore - penultima opera di Chabrol, tra le migliori proposte cinematografiche della stagione -, la mia sconfinata ammirazione per il grande regista francese. Ultrasettantenne, autore più che prolifico - non solo in virtù della ragguardevole età anagrafica. allorché la sua vena creativa è costantemente alimentata da un entusiasmo giovane e inossidabile -, durante la lunga ed onorata carriera Claude Chabrol ha realizzato una cinquantina di film, alcuni indimenticabili, altri meno. E’ tuttavia nell’ordine delle cose che autori (e “scuole” cinematografiche) non affetti dall’ansia del capolavoro ad ogni costo, si abbandonino al piacere dell’”interludio” giocoso e scanzonato, pur sempre decisamente apprezzabile, propedeutico ai maggiori fasti. Con il grande Maestro della Nouelle Vague, genio del disincanto e dell’(auto)ironia, quantunque sia innegabile che non tutti i fichi del suo bigonzo siano privi di qualche ammaccatura, l’indulgenza è dunque d’obbligo. Pur tuttavia occorre dirlo che il suo ultimo, grazioso (niente di più) “pastiche en noir” (thriller psicologico?) intitolato LA COMMEDIA DEL POTERE, mostra i segni di un’ipertrofia narrativa e “filosofica” che prelude ad una delusione raramente avvertita durante la visione di altri film “minori”, o presunti tali. Tutti gli ingredienti del cinema chabroliano sono chiamati a raccolta in questo melò drammatico- giudiziario, fortemente coeso intorno alla figura di Isabelle Huppert. Interprete feticcio del regista, l’immensa attrice francese veste i panni di Jeanne, un magistrato intransigente e severo (soprannominato nell’ambiente giudiziario il “pirana”), disposto a lavorare instancabilmente, trascurando la vita privata, il menage matrimoniale, fino al tragico finale, pur di perseguire la sua ambiziosa, temeraria ed inarrestabile indagine sui loschi affari della politica nazionale, sui tristi figuri delle ruberie di “casta”, delle appropriazioni indebite di denaro pubblico (giustificabili in quanto “consuetudini”, secondo gli indagati), rappresentanti del potere politico corrotto, in una vicenda che si prefigura come una sorta di “mani pulite” alla francese. Tocca ai “pezzi da novanta”, non ai piccoli notabili della corrotta e perversa borghesia di provincia, far da “cavia” nell’ultimo film di Chabrol. Il cui bisturi, dispiace dirlo, è meno affilato, preciso e tagliente rispetto ai suoi ondivaghi, il più delle volte stellari, standard.
Chabrol è poco ispirato; imbastisce la sua storia in maniera superficiale, didascalica e prevedibile; rinuncia al “mistero”, alla tensione intima/interiore foriera di suspense e sorprese (aspetti solo a tratti ravvisabili), alla sua indiscussa capacità di scavo introspettivo di cui è maestro. L’autore di Il Tagliagole (capolavoro assoluto, uno dei miei film del cuore e della mente) tralascia di approfondire i personaggi non centrali, quella mesta umanità appena abbozzata in maniera macchiettistica, destinata a restare sullo sfondo, a fungere da mero pretesto, in modo irrisolto, dato il soggetto. Chabrol preferisce tratteggiare, con ammirevole cura e amore, il personaggio della Huppert, facendo si che l’intera vicenda graviti e si consolidi intorno a lei che rappresenta la vera ragione d’essere del film. Non vi sono parole adatte per lodare degnamente questa geniale e navigata attrice, ma, paradossalmente, è proprio a “causa” della sua straripante interpretazione (a tratti sopra le righe) che, per contrasto, i limiti della messinscena vengono maggiormente evidenziati. Maryline Canto, ad esempio, interprete di Erika, collega di Jeanne, nelle scene “a due”, al confronto con la Huppert, scompare letteralmente. Non c’è partita, il divario è enorme ed incolmabile. Nulla a che vedere con la straordinaria coppia di “vendicatrici diaboliche” – Huppert/Bonnaire - di Il buio nella mente. LA COMMEDIA DEL POTERE è dunque un film poco incisivo, a tratti distratto, frettoloso e, forse in ragione di ciò, ignorato al festival di Berlino 2006. Nonostante alcune “maliziose” ambiguità (un impulso incestuoso resta latente ed irrisolto), la sagace ironia, aspetto irrinunciabile della poetica chabroliana, un finale aperto ed emblematico, e, naturalmente, il solido mestiere di un regista in grado di progettare inquadrature sempre perfette e suggestive, movimenti di camera plastici e perfettamente calibrati, non mi è sembrato di scorgere nulla di nuovo sulla linea dell’orizzonte del Maestro.
Ma non sarà il canto del cigno... Al prossimo capolavoro, caro Chabrol, giovane/vecchio amico di tante entusiasmanti avventure filmiche!

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"Bisogna prendere il veleno come veleno e il cinema come cinema" - L. Buñuel

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 08-10-2006 19:22  
questa è la prima volta che un film di Chabrol mi arrazza abbastanza. probabilmente sono solo stati bravi o fortunati a realizzare il trailer, ma mi ispira un casino. non lo perderò quando lo passeranno in cineteca.
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Quando mia madre, prima di andare a letto, mi porta un bicchiere di latte caldo, ho sempre paura che ci sia dentro una lampadina.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 08-10-2006 23:57  
quote:
In data 2006-10-08 19:22, sandrix81 scrive:
questa è la prima volta che un film di Chabrol mi arrazza abbastanza. probabilmente sono solo stati bravi o fortunati a realizzare il trailer, ma mi ispira un casino. non lo perderò quando lo passeranno in cineteca.




Se ti arrazzi con i trailers... auguri! E come una scopata con 300 preservativi.
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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 08-10-2006 23:58  
Anzi.., di un resegone...
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liliangish

Reg.: 23 Giu 2002
Messaggi: 10879
Da: Matera (MT)
Inviato: 28-10-2006 14:05  
La Commedia del Potere sfrutta in realtà il pretesto dell’indagine sulla corruzione per scavare all’interno dei personaggi, e delle dinamiche di interazione tra persone tra loro estremamente diverse. I singoli personaggi si affrontano come in una partita a scacchi e dalle loro reazioni viene fuori il loro diverso background, la storia smozzicata delle loro vite.
Alzayd fa notare giustamente come in questo film ci sia molta carne al fuoco: molte tematiche, molti personaggi, molte storie che s’ìntrecciano e spesso restano appese. Questo è vero, ed è quel che ne fa un film ricco, pieno di sfaccettature, come un prisma a molte facce. Tuttavia c’è un fil rouge che lega tutti i personaggi e attraversa tutte le vicende; e non è, come si potrebbe pensare, la lotta all’ingiustizia, o la corruzione del potere, o l’impossibilità di scardinare le fondamenta di un sistema marcio. Non è questo che preoccupa Cabrol, non è questo che gli interessa raccontare.
Il filo conduttore della pellicola è, invece, la passione. E’ una storia di passione che spinge il Presidente tra le grinfie del magistrato Jeanne Charmante. Una piccola donna di ghiaccio che cova, in realtà, passioni profonde, mai sopite, capaci di sollevare le montagne.
La storia d’amore con il marito, l’ambigua complicità con un nipote così diverso da lei da risultarle complementare, le notti in bianco passate a raccogliere ed elaborare informazioni, la complicità insospettata con la collega più giovane, tutto contribuisce a creare l’immagine di una donna appassionata, sincera, idealista, eppure forte.
Così sembra almeno fino al fatale epilogo in cui la caduta delle illusioni e la tragedia in atto non le strappano dal volto la maschera di ferro da piccola indomabile. Finale a mio parere un po’ debole che non riesce a riannodare tutti i fili della trama e sfilaccia anche il filo conduttore passionale nel buon senso di una donna che si rende conto di non poter lottare sola contro gli eventi. Che vede crollare dinanzi a sé prima la sua vita pubblica e poi quella privata senza quasi batter ciglio, sempre con la stessa risolutezza cieca. Puro granito. Ma resta la piacevole sensazione di un film che non si esaurisce alla prima visione, che ha ancora molto da dire. Ricco e variopinto come un romanzo di Dumas.

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 28-10-2006 16:44  
quote:
In data 2006-10-28 14:05, liliangish scrive:

Il filo conduttore della pellicola è, invece, la passione. E’ una storia di passione che spinge il Presidente tra le grinfie del magistrato Jeanne Charmante. Una piccola donna di ghiaccio che cova, in realtà, passioni profonde, mai sopite, capaci di sollevare le montagne.
La storia d’amore con il marito, l’ambigua complicità con un nipote così diverso da lei da risultarle complementare, le notti in bianco passate a raccogliere ed elaborare informazioni, la complicità insospettata con la collega più giovane, tutto contribuisce a creare l’immagine di una donna appassionata, sincera, idealista, eppure forte.




Meno male si parla d'altro, non solo di cinema americano...

Ti quoto solo in parte, Lilian, poichè trovo particolarmente vero e significativo quest'aspetto che fai bene ad evidenziare più di quanto non abbia fatto io, nonostante mi sia soffermato sul personaggio della Huppert, fulcro intorno ala quale ruota l'intera vicenda. Mi fa riflettere.., anche sul resto, su una messinscena che a parte quanto da te prospettato mi è sembrata un po' fiacca, distratta, come poche altre volte in un film di Chabrol. A tale riguardo, parlando di La Damigella d'onore, sostenni che: "tutti gli elementi nella puntuale caratterizzazione dei personaggi, nel preciso scavo introspettivo, l’allargamento delle drammaticità a circostanze e personaggi solo apparentemente secondari, ed invero “affettuosamente” strutturati, finiscono per completare ed impreziosire ulteriormente il meraviglioso quadro filmico." Una cosa che non ho riscontrato in questo film. Ma l'ipotesi di una precisa scelta autoriale che lasci, nella fattispecie, in secondo piano il contorno per meglio far affiorare l'aspetto centrale da te evidenziato, merita di essere più attentamente approndito.

quote:
[i] resta la piacevole sensazione di un film che non si esaurisce alla prima visione, che ha ancora molto da dire. Ricco e variopinto come un romanzo di Dumas.




Cercherò di rivedere il film.
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Ahsaas

Reg.: 18 Apr 2006
Messaggi: 779
Da: Parma - India (es)
Inviato: 28-10-2006 16:57  
a me non ispira per un cazzo. eppure chabrol, quel poco che ho visto, l'ho goduto tutto.


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"E' FINITA" SI DICE ALLA FINE

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AlZayd

Reg.: 30 Ott 2003
Messaggi: 8160
Da: roma (RM)
Inviato: 28-10-2006 17:03  
quote:
In data 2006-10-28 16:57, Ahsaas scrive:
a me non ispira per un cazzo. eppure chabrol, quel poco che ho visto, l'ho goduto tutto.






Si ti piace Chabrol vale la pena rischiare.
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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 14-11-2006 18:28  
In realtà la denuncia di Chabrol non è rivolta alle tangenti, alla società od ai suoi ruoli, come sarebbe facile presumere, ma coerentemente isolato ogni “riferimento puramente casuale” durante l’incipit della sua querela filmica, il parigino sottintende per quasi due ore il binomio antichissimo “uomo-potere”, celato dietro la maschera dell’ “avarezza” emozionale. Toltoci subito questo dente fastidioso, ancora intento a dolere come se tirato da un cavadenti fiammingo, a ricordarci di essere seduti in una sala cinematografica, di fronte ad un film che stenta a farci levitare insieme a lui, possiamo partire con la nostra disamina su La commedia del potere, che parla appunto di potere ma con risvolti molto poco comici. In verità si tratta di un film semplice, tanto, che pone le proprie fondamenta su un concetto anche stantio, anche ampiamente trattato, come quello del potere, che sia in guerra che in pace (un dualismo che in questa stagione e in questo tempo si fa spesso vivo) è stato avvistato e celebrato forse più di qualsiasi altro tema umano e quindi artistico apparso sugli schermi di cinema fino ad oggi. Il potere ha molte facce, infinite forme, è un vero camaleonte, e camaleonte, oltre che abile dissimulatore, deve apparire l’uomo che ne fa (ab)uso. Smodato, moderato, illecito, lecito e così via può essere l’utilizzo del potere, qualsiasi attribuzione gli si faccia questo avrà sempre qualche ripercussione nel sociale, anche su di sé. Potrà ritorcersi contro il suo fruitore, come un cavallo imbizzarrito di cui qualcun altro sembra avere però in mano le briglie, perché l’unica cosa certa è che questo “cavallo” non resterà mai senza uno smanioso cavaliere…

Ha tutta l’aria di una matrona nevrotizzata dal lavoro, col senso della maternità, palesato con l’arrivo del nipote in casa, ma con non eguale abilità nella gestione della stabilità di coppia, alluvionata dal nuovo e cruciale caso sopraggiunto fra le sue mani. Lei è Jeanne Charmant, soprannominata Piranha, una giudice scheletrica e con lo sguardo che perfora gli indagati mentre li interroga, trapassando le lenti di quegli occhiali che le donano ancora di più un tocco da aguzzino. Come se ce ne fosse bisogno, il suo potere è assoluto, non vi sono più ostacoli, barriere, formalità fra lei e un malversatore di denaro pubblico, arcinoto come da noi un Piersilvio Berlusconi qualsiasi. Ogni riferimento (non) è puramente casuale, ma del resto, tornando alle origini, come da titolo si sta parlando di una “commedia”, e come in ogni commedia che si rispetti tutto è da prendersi col beneficio d’inventario, anche l’avvertimento iniziale, che nega invece chiari richiami interni al caso Elf; che in Francia ha suscitato infinito scalpore, ma che a noi sembra interessare maggiormente sul suo versante figurativo, reinterpretativo e infine cinematografico. Chabrol, il prolifico cineasta quasi ottantenne meglio noto come iniziatore della Nouvelle Vague francese, ci permette lo scandaglio di questo episodio socio economico e politico, perché si sa, da Thomas More fino ad oggi, anche Chabrol constata che l’isola di Utopia non è ancora stata trovata, e che i soliti “peggiori” hanno in mano i soldi e quindi il potere politico. Anche quando questi ruoli si invertono, e chi prima si lamentava davanti alla tv degli intrallazzi dei pochi noti entra in possesso di un bell’ufficio e del potere decisionale, il motivo non cambia, l’uomo è uomo e si differenzia solo in sesso da un suo simile con pari diritti. E così è, la maggiore vicinanza forse dell’intuito femminile di Jeanne ci permette l’avvicinamento, la comprensione e l’avvallamento della sua legittima ma spietata vendetta, un po’ troppo personale, in fin dei conti come la vorremmo tutti noi davanti alla tv durante il telegiornale. Ebbene se questo non aderisce perfettamente al vero, la forza carismatica ed eclettica, ora anche contraddittoria di Jeanne, come di Claude Chabrol, bussa alla porta del nostro essere più arrivista, condito dall’impulsività che porta anche al trascurare ciò di più caro per una donna, gli affetti. Ma è un affare di donne. Lasciamoglielo sbrigare come se fosse un percorso ad ostacoli che giusto conduce alla meta, salvifica. Inciamperà prima o poi, o qualcuno a lei vicino, il marito ad esempio, in errore. Un suicidio? Frutto di un abbandono. Non vale proprio la pena di abbandonare un marito, una moglie, per la Jus. Quella naturale è stato dato prova essere estorta all’uomo comune, che poi si butta giù da un palazzo e fa ricadere tutto nel privato diritto positivo, per cui forse conviene lavarsene completamente le mani.
Parafrasando l’amico e collega Giuseppe Mariani: non sarà la sua estate di San Martino.

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Mi accodo, infine, agli amici che han citato lo zio Peppe
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La ragione è la sola cosa che ci fa uomini e ci distingue dalle bestie

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sandrix81

Reg.: 20 Feb 2004
Messaggi: 29115
Da: San Giovanni Teatino (CH)
Inviato: 15-11-2006 09:59  
quote:
In data 2006-10-08 19:22, sandrix81 scrive:
non lo perderò quando lo passeranno in cineteca.

in realtà l'hanno passato e l'ho perso.
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Cronenberg

Reg.: 02 Dic 2003
Messaggi: 2781
Da: GENOVA (GE)
Inviato: 16-11-2006 19:39  
Puoi sempre riguardare il trailer quante volte vuoi
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Petrus

Reg.: 17 Nov 2003
Messaggi: 11216
Da: roma (RM)
Inviato: 18-11-2006 08:58  
Claude Chabrol ci ha abituato a grandi film e (più o meno) piacevoli intermezzi. Se La damigella d'onore, sua precedente opera, rientrava nella prima categoria, indubbiamente La commedia del potere rientra nella seconda. Tutto sta a definire su quale livello della scala del "più o meno" la nostra lancetta debba collocarsi nel giudicare l'ultimo film dell'ormai non più giovanissimo cineasta francese.
La commedia del potere è un film dai tratti somatici molto "italici", un film di denuncia, un film militante, come avrebbero potuto costruirne un Rosi o, più recentemente, un Moretti. Affronta per di più un argomento che ha segnato l'immaginario collettivo, nonché lo status politico e, in misura minore sociale, della gente del Belpaese: quello della corruzione, della tangente, di una non meglio identificata, né identificabile, collusione tra il potere politico e quello economico. E se consideriamo che uno scienziato politico di fama mondiale, Arend Lijphart, ha individuato nelle Banche centrali, nella potestà regolativa dell'economia, il quarto potere dello Stato in aggiunta ai tre classici pilastri di Montesquieu, capiamo come Chabrol ci ponga di fronte una pellicola i cui rimandi non possono, giocoforza, esaurirsi al solo aspetto cinematografico, né, tanto meno, a quelli di una spesso sterile cinefilia militante. Ad ingarbugliare ancor più la decodificabilità dell'opera chabroliana è la cifra con la quale viene messa in scena la storia. Il titolo, come si potrebbe (a torto) pensare, non esaurisce la sua semiotica nell'allegoria, ma inquadra nel dettaglio i due poli di attrazione tra i quali il film è sospeso: la commedia, un genere tendenzialmente leggero e scanzonato, e, come già accennato prima, il serissimo e compitissimo tema del potere. Il termine "commedia", dunque, incarna sia il senso figurato della dinamica del racconto, l'utilizzo di elementi della realtà comune mediati dal canovaccio della più classica rappresentazione commediale (o viceversa), ma anche un approccio sarcastico, più che ironico, alla materia trattata. Tutto il film di Chabrol è dunque sospeso costantemente tra due poli di attrazione, tra costanti dicotomie, che potrebbero amplificare la tensione narrativa del racconto, ma che purtroppo ne sfumano i contenuti verso l'incompiutezza, che potrebbero amplificarne un'impossibilità etica di soluzione definitiva, ma che invece lo lasciano in bilico, incapace di prendere una posizione, di sposarne un punto di vista.
E così l'avvenente magistrato, Jeanne Charmant-Killman, interpretata da Isabelle Huppert, qui delicata lady di ferro, è incardinata nel sistema che vorrebbe a tutti i costi smascherare. Il suo lento trascurare il marito, il senso di abbandono che avvolge tutto quel che ha più d'intimo, e la contemporanea ribalta di fascicoli, avvisi di garanzia, faldoni, insieme al suo ruvido trattare i propri imputati - mascherando il sottile piacere e la propria esaltazione di sé dietro uno sterile e puerile doverismo d'ufficio -, rendono la protagonista di Chabrol elemento principe sia della "commedia", così come abbiamo visto essere intesa dal regista, sia, soprattutto, dell'oscuro, macero, ma totalizzante sistema del potere. Peccato che, trascurando di scavare, di penetrare questa centrale ed urgente tematica, lo script si perda gigionamente tra i vari sottotesti che man mano si vengono a creare, seguendo i mille risvolti di una vicenda che, in questo modo, finisce per perdere di centralità e, dunque, di forza. Allo stesso modo Chabrol pare divertirsi moltissimo a seguire il proprio personaggio, lasciandosi "passivamente" guidare per mano, senza prendere mai in mano la situazione.
Per rivedere il cupo e splendido vecchio maestro francese, per rivederlo davvero in tutto il suo splendore, dovremmo dunque aspettare (speriamo) la prossima pellicola. Intanto ci lascia un film quasi urgente, quasi necessario, ma destinato, in fondo, al limitato universo degli chabroliani doc

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"Verrà un giorno in cui spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate"

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